“Prima i nizzardi”: quando la stampa fomentava l’odio anti italiano

Le Phare du Littoral et Le Petit Niçois. Images issues du site de la Banque Nationale de France
Le Phare du Littoral et Le Petit Niçois. Images issues du site de la Banque Nationale de France

Adoriamo stuzzicare i sentimenti dei nostri lettori. Nizza, gioiello della Costa Azzurra, è l’ultimo baluardo della Francia prima di varcare il confine italiano a Mentone. Per altri, è l’ultimo saluto dell’Italia verso occidente: Saint-Laurent-du-Var, Cannes, Antibes… il vero antico inizio della Francia.

“Non toccate Nizza!” ripetono i nostri lettori, che siano francesi o italiani. Ognuno difende la propria fazione e si rifugia nella storia, a volte reinventata, seguendo ora le linee irredentiste italiane, ora i racconti rivoluzionari francesi. E noi, lo adoriamo. Perché nel mezzo dei due schieramenti, ci gustiamo una birra e una porzione di socca – o farinata, questo oro di ceci così caro a queste terre – seduti su una sedia blu della Promenade, ad osservare lo scontro d’identità come in un’appassionante partita di tennis a Roland-Garros.

Il problema degli italiani a Nizza

Tra le pagine de Les Alpes-Maritimes et la République di Henri Courrière, un capitolo ti inchioda al divano, con il suspence che ti stringe alla gola. Quello sulla xenofobia che corrode la fine del XIX secolo. Quando i nuovi padroni di casa – i francesi – sfoderano il loro odio verso gli ultimi nizzardi dall’accento italiano, rimasti lì dopo l’annessione. L’effetto specchio? Agghiacciante.

Immersione negli archivi dei giornali nizzardi dell’epoca. Stupore: sembra di sentire Pascal Praud su CNews. È ciò che ci spiega Courrière, fin dall’inizio di uno dei suoi capitoli: “L’italianità di Nizza diventa, dagli anni 1880 al 1900, sempre più problematica”. Traduzione: l’identità transalpina mandava in tilt il bel meccanismo repubblicano. Un bastone tra le ruote della Francia della III Repubblica, che preferiva l’assimilazione al meticciato.

Le Petit Niçois del 9 giugno 1896 sfoga la sua bile xenofoba senza mezzi termini. L’articolo descrive una presunta strategia di conquista economica da parte dei lavoratori transalpini: I lavoratori italiani di tutte le categorie dispiegano un’arte particolare per accaparrarsi gradualmente l’esercizio di una professione. La loro azione è metodica: si sostengono a vicenda, si avvisano reciprocamente e non mancano mai di presentarsi tempestivamente per colmare una lacuna non appena si verifica.” La constatazione si fa ancora più aspra: “[…] l’industria delle bevande e dei bar, a Nizza, è quasi interamente nelle mani degli italiani.”

Il giornale insiste prendendo di mira la Banda Municipale, diventata simbolo di questa presunta spoliazione: Quanti musicisti nizzardi si sono visti strappare, nel loro stesso paese, un posto che avrebbero potuto degnamente occupare, da qualche transalpino più intrigante, più flessibile e più audace!” La conclusione cade come un macigno: È ora che un simile abuso, di cui la popolazione locale ha già troppo sofferto, abbia fine.”

Tra il 1870 e il 1900, la situazione si complica nelle Alpi Marittime: la comunità italiana esplode, passando da 15.000 a 60.000 persone. Nel 1901, rappresenta il 18,5% della popolazione del dipartimento, con 30.000 anime a Nizza, 9.000 a Cannes, 3.500 a Mentone e quasi 3.000 ad Antibes. Problema: in questo contesto dove la Francia vuole conquistare il cuore dei nizzardi, ogni richiamo all’Italia – la vecchia identità, gli accenti cantanti – deve essere gettato nel dimenticatoio. Priorità nazionale: fare tabula rasa. Nel 1891, gli italiani rappresentano il 23% della popolazione nizzarda, erano ovunque, residenti principalmente sulla riva sinistra del Paillon, nella città vecchia, al porto e nel quartiere di Riquier. Ed ecco che le parole di Nietzsche risuonano come un lontano eco inciso nei libri di storia: La parte ‘francese’ di Nizza mi è insopportabile… ma c’è una città italiana – è lì nei quartieri antichi che ho affittato – dove si è come in una periferia di Genova.” Adorava sentire parlare italiano nella città vecchia. Aveva una vera avversione per la parte francese di Nizza. Lo spirito cosmopolita che vi regnava suscitava in lui un senso di libertà.

A quell’epoca, due forme di italianità cristallizzano le tensioni. Da un lato, Il Diritto di Nizza, giornale militante, difende una Nizza italiana e combatte strenuamente l’annessione francese. Di fronte, i vecchi nizzardi, quelli i cui genitori hanno vissuto l’annessione alla Francia, faticano ancora a cantare la Marsigliese. Ma un nuovo fattore complica la situazione: l’immigrazione massiccia di italiani. La loro presenza preoccupa le autorità, che vi vedono un freno alla francesizzazione della città e un terreno fertile per rivendicazioni irredentiste.

Le pagine di Courrière sono eloquenti: “Diversi incidenti mostrano la persistenza di una corrente pro-italiana nell’antica contea, ma riguarda soprattutto ormai italiani insediatisi nel dipartimento, e non più nizzardi ‘annessi’.” Prova ne è l’episodio del ristoratore Tomatis. Nell’aprile 1885, in un caffè nizzardo, mentre si discute della crisi nel Tonchino, esclama: “Auguro la retrocessione di Nizza all’Italia – gli affari sarebbero molto più prosperi.” Nato nelle Alte Alpi da genitori italiani, Tomatis è descritto dalla polizia come “notoriamente conosciuto per i suoi sentimenti ostili verso la Francia”.

Il Petit Niçois del 16 giugno 1896 spara a zero sul Casinò municipale. Victor Garien, il suo giornalista, lancia l’allarme: qui come altrove in città, servirebbero “veri francesi di souche”. I numeri parlano chiaro: Nessuno a Nizza si stupirà [che] su ottanta artisti circa che compongono l’orchestra, ce ne siano in tutto tre di francesi, tutto il resto essendo italiano.”

Il colpo di grazia non si ferma qui. Garien attacca direttamente la direzione del Casinò, colpevole ai suoi occhi di lassismo patriottico: Se il Casinò Municipale di Nizza ha potuto essere rappresentato così da un giornale italiano come una sorta di fortezza occupata dagli invasori transalpini, la colpa non può essere attribuita, lo ripetiamo, a una direzione irreprensibile dal punto di vista del patriottismo.”

Dietro la polemica emerge il vero tema: nell’epoca in cui Nizza cerca il suo posto in Francia, ogni istituzione diventa un campo di battaglia identitario. Persino le note musicali si caricano di politica.

Risse tra vicini

«Una provocazione italiana!» Il titolo del Phare du Littoral del 15 aprile 1896 riassume da solo l’atmosfera elettrica che regna allora sul confine. Come riporta Courrière in Les Alpes-Maritimes et la République, la stampa nizzarda non tarda ad infiammare il minimo incidente franco-italiano.

Tutto comincia il 12 aprile 1896. Un gruppo di coscritti italiani sbarca da Ventimiglia, bandiera in testa e visibilmente alticci, con l’intenzione di bere un bicchiere a Mentone. I doganieri francesi gli sbarrano la strada. «Domenica 12 corrente, una torma di venti o trenta italiani si è presentata al Ponte San Luigi dove si trova il confine. Questi italiani avevano la loro bandiera spiegata e volevano penetrare in Francia. […] si ritirarono borbottando, e, piazzandosi sul limite di frontiera, si misero a urlare ‘Abbasso la Francia!’ a insultare la bandiera francese dicendo: che era la più sporca del mondo, che ci sputavano sopra, la calpestavano e che bisognava farla sparire.» La scena termina con una ritirata urlando insulti contro la Francia.

La stampa italiana (La Cornice di Bordighera, Il Secolo XIX e Il Caffaro di Genova) si impadronisce subito dell’affare. L’escalation è inevitabile: il 19 aprile, una trentina di uomini armati di bastoni – e forse di rivoltelle – partono da Mentone per gridare «Abbasso l’Italia!» sul territorio vicino.

Per una buona settimana, la tensione non cala. Tra Ventimiglia e Mentone, ogni bandiera diventa un casus belli, ogni grido una dichiarazione di guerra. Il confine, abitualmente poroso, si trasforma in una linea di frattura.

La soppressione della stampa italiana a Nizza

Nel nostro articolo dedicato alla costruzione del monumento del Centenario sulla promenade des Anglais, come in quello che tratta della partenza dei nizzardi durante la cessione di Nizza alla Francia, abbiamo più volte citato le posizioni antifrancesi del giornale Il Diritto di Nizza.

Finanziato in parte dal governo italiano, questo giornale rappresentava l’antitesi delle pubblicazioni profrancesi come Le Phare du Littoral o Le Petit Niçois. La sua scomparsa, sancita da un decreto del 16 novembre 1895, fu orchestrata dal potere francese:

« Con decisione speciale in data 16 novembre 1895, deliberata in Consiglio dei ministri, in applicazione della legge del 29 luglio 1881 (articolo 14) e della legge del 22 luglio 1895, il presidente del Consiglio, ministro dell’Interno, ha vietato la circolazione in Francia del giornale Il Pensiero di Nizza, pubblicato a Nizza in lingua italiana. »

Questa misura, sostenuta da eletti locali come Flaminius Raiberti, Alfred Borriglione e Arthur Malausséna, era motivata dalla « campagna di oltraggi contro la Francia » condotta dal giornale. Si inseriva in un processo più ampio di occultamento dell’eredità italiana a Nizza.

Dall’inizio degli anni 1890, alcuni eruditi, spesso originari d’oltralpe, si dedicarono a una « disitalianizzazione » dell’identità nizzarda. Tra loro, Gabriel Letainturier-Fradin, uomo di lettere parigino e capo di gabinetto del prefetto delle Alpi Marittime, si impegnò a dimostrare la francesità della contea di Nizza attraverso la sua storia, la sua lingua e i suoi interessi economici. Secondo lui, Nizza era provenzale, dunque francese, e non era mai stata « italiana in nessun momento ». Il nizzardo era presentato come un semplice dialetto provenzale, rafforzando così questa tesi.