Veglia sull’estremità sud del giardino Albert I°, immobile, avvolto di bianco. Di fronte a lui, la Promenade des Anglais distende il suo nastro d’asfalto, confine netto tra i sussurri ombrosi del parco e lo scricchiolio dei ciottoli della baia degli Angeli. Lì, il monumento del Centenario si erge – chiodo di pietra della Turbia conficcato nello spessore del tempo. Come un segno accecante sulla carta ingiallita di un grimorio. Tra le sue linee geometriche, la storia si annoda: l’inizio della fine, la fine dell’inizio. Ogni angolo netto, ogni spigolo liscio, agisce da segnalibro definitivo. Niente sporge, niente trema. Solo questo bianco che sigilla l’addio, fissando i capitoli dietro di sé sotto il cielo implacabile, mentre il Mediterraneo, più in basso, continua a cancellare le tracce tra una marea e l’altra.
L’idea emerge durante le feste del Centenario della Repubblica nel 1892. Per i repubblicani al potere, l’occasione è troppo ghiotta: celebrare il ricongiungimento rivoluzionario di Nizza alla Francia (1792-1793). Il consiglio municipale, guidato dal sindaco François Alziary de Malausséna, approva il progetto il 18 luglio 1892. Un consigliere, Louis Bensa, ricorda i fatti: il 4 novembre 1792, dopo l’ingresso delle truppe del generale d’Anselme, due deputati presentano alla Convenzione la richiesta di annessione. Plebiscito il 25 novembre, voto positivo il 31 gennaio 1793.
“I sentimenti dei nostri antenati sono i nostri”, proclama Bensa. “Serve un monumento che suggelli questo amore per la Francia e la Repubblica.” Unanimità perfetta? Non proprio. La decisione tardiva – luglio 1892 per un centenario previsto nel 1893 – sa di rinvio. Il monumento verrà inaugurato solo nel 1896. Il sindaco conservatore avrebbe temporeggiato?
Concorso riservato ai francesi, vincitore annunciato il 23 settembre 1893: l’architetto Jules Febvre associato allo scultore André-Joseph Allar. La loro creazione? Una piramide slanciata sormontata da una Vittoria in bronzo (una Nikaia, occhiolino alle origini greche di Nizza) che stringe un tricolore – “Nissa fidelissima” come stendardo.

Alla base, il marmo bianco mostra Nizza, una giovane che abbraccia la Francia, rappresentata come una donna elmata con il seno coperto. Nessun berretto frigio, nessun seno liberato: una Repubblica moderata, ordinata, quasi materna. Nizza indossa le sue mura medievali, come durante la dedizione ai Savoia nel 1388. Il messaggio è chiaro: nel 1793, abbiamo solo cambiato protettore.
Le omissioni parlano quanto i simboli: le quattro statue che avrebbero dovuto glorificare i benefici dell’annessione? Mai realizzate. Solo gli stemmi di Nizza e un Mediterraneo stilizzato adornano il basamento. Le iscrizioni, più numerose del solito, mescolano propaganda repubblicana e omaggi ai politici locali.
E quelle date incise: 1793-1893 ben visibili, 1860 in piccolo sotto. Il monumento fonde due storie – il ricongiungimento rivoluzionario e l’annessione plebiscitaria del 1860. Un racconto nazionale in kit, dove la pietra sostituisce i manuali.
Perché celebrare nel 1896 un centenario nato nel 1792?
La questione agita Nizza in questa fine secolo. Mentre la Savoia festeggia senza complessi il suo ricongiungimento alla Francia, le Alpi Marittime invece fremono. “Una data nefasta”, tuona Il Pensiero di Nizza nell’agosto 1892, giornale irredentista che riporta alla luce gli archivi sanguinosi dell’annessione rivoluzionaria. Estratti: “I soldati alloggiati presso gli abitanti sparano a pallottole vere per divertimento… Il generale Brunet lascia saccheggiare Sospel, a Bendejun tre preti della famiglia Mari vengono massacrati… Blanqui, alla Convenzione, chiede l’annessione mentre Nizza marcisce sotto la canaglia e l’esercito francese!”
Il quotidiano denuncia un voto sotto occupazione. Già il 29 settembre 1792, Nizza trema: esodo massiccio, sommosse. Il 30, Anselme sbarca con 5.000 soldati. “Silenzio lugubre” – l’occupazione inizia. Tre giorni dopo, il deputato Blanqui minaccia: “La nazione francese vi offre il suo odio o la sua amicizia: scegliete.” E aggiunge, glaciale: “Chi rimpiange la schiavitù [sarda] sarà cancellato dal rango degli uomini liberi.” Come credere, ironizza il giornale, “che una città dove i colonialisti marsigliesi commettevano orrori indicibili abbia potuto liberamente donarsi alla Francia?”
Henri Courrière lo ricorda in Le Alpi Marittime e la Repubblica: nel 1892, anno teorico del centenario, le tensioni sono esplosive. La Chiesa e la destra protestano, gli irredentisti nizzardi urlano alla falsificazione storica. Risultato? Nessuna celebrazione. Il monumento commemorativo, invece, emerge solo nel 1896 – un ritardo rivelatore.
Il Pensiero di Nizza riassume l’atmosfera in una lettera aperta al primo ministro Maurice Rouvier: “Gente spinta da un sciovinismo sfrenato o dal desiderio di farsi meriti presso il governo, si sforza con tutti i mezzi di obbligare i Nizzardi a festeggiare il centenario di una data nefasta nella nostra storia” Il centenario diventa un campo di battaglia memoriale. Tra la Repubblica che glorifica un’annessione e i Nizzardi che vi vedono solo una dedizione forzata, la pietra del monumento faticherà a seppellire i cadaveri.
Il monumento commemorativo del ricongiungimento di Nizza alla Francia: una commemorazione tardiva e ambivalente
La decisione di erigere un monumento che celebri il ricongiungimento di Nizza alla Francia nel 1792-1793 viene approvata il 18 luglio 1892 dal consiglio municipale guidato dal sindaco conservatore François Alziary de Malausséna, nell’ambito delle celebrazioni del Centenario della Repubblica. Il consigliere Louis Bensa, promotore del progetto, invoca durante i dibattiti la continuità dei sentimenti patriottici nizzardi dall’arrivo delle truppe francesi nel novembre 1792, la petizione dei deputati Blanqui e Veillon, e il plebiscito che portò all’annessione ufficiale nel gennaio 1793.
Tuttavia, l’inaugurazione avviene solo nel 1896, con quattro anni di ritardo rispetto alle celebrazioni del centenario. Questo scarto cronologico significativo, notato dallo storico Henri Courrière, va oltre le semplici difficoltà tecniche di realizzazione. Tradisce le reticenze di un’amministrazione conservatrice nel celebrare un episodio rivoluzionario, così come le resistenze di parte della popolazione nizzarda di cui si fa portavoce il giornale Il Pensiero di Nizza.
Così, questo monumento commemorativo, sebbene alla fine eretto, porta il segno delle ambiguità nizzarde verso questo evento storico. Tra adesione ufficiale alla memoria nazionale francese e persistenza di uno sguardo critico locale, la sua inaugurazione tardiva riflette le tensioni memoriali che attraversano la società nizzarda alla fine del XIX secolo.
Una festa repubblicana e fratture sotto il marmo
Il 4 marzo 1896, l’inaugurazione assume i toni di un 14 Luglio traslocato. Félix Faure, acclamato dalla folla, era arrivato il giorno prima a bordo della corazzata Le Formidable, alla rada di Villefranche. Il presidente della Repubblica fu accolto da Sua Altezza Imperiale lo Zarevic, allora in convalescenza a Cap-d’Ail. Per l’occasione, Nizza aveva addobbato le strade con i colori russi e francesi.
Félix Faure e Léon Bourgeois, presidente del Consiglio, suggellano quel giorno tra gli applausi quello che chiamano il “patto del 1793”. I festeggiamenti ufficiali vogliono essere grandiosi, celebrando l’“unione di tutte le classi sociali” nell’abbraccio patriottico. Eppure, l’assenza notabile di ogni riferimento preciso alle date rivoluzionarie tradisce un certo imbarazzo: la cerimonia somiglia meno alla commemorazione di un anniversario che a una dimostrazione di fedeltà. Le decorazioni consegnate quel giorno brillano come altrettante garanzie viventi di questa “francesità” ostentata.
Nell’ombra dei tricolori, il contesto diplomatico pesa. L’Italia, alleata a Germania e Austria, diventa il nemico comodo. Il Pensiero di Nizza, voce degli irredentisti, è stato appena messo a tacere dalle autorità – prova che la polemica sulla “falsificazione della storia” ha superato i circoli intellettuali. Il senatore Borriglione e il deputato Raiberti, artefici di questa censura, sorridono in prima fila.
I discorsi ufficiali tessono una leggenda dorata. Il giornale Il Piccolo Nizzardo del 5 marzo 1896 descrive l’evento come “slancio d’entusiasmo” popolare nel 1792, trasformando l’occupazione militare in epopea emancipatrice:
«Figlia di Marsiglia, Nizza non poteva mentire alle sue origini […] quando le armate della Repubblica entrarono nella nostra città portando la bandiera dell’emancipazione dei popoli, l’istinto della nazionalità originaria, l’idea della vera patria si risveglia improvviso tra le masse popolari che chiesero la loro aggregazione alla Repubblica francese.»
Un racconto che elimina con cura gli esodi del 1792 e le baionette marsigliesi. Il plebiscito del 1860 non è più che una “conferma” tardiva, cancellando vent’anni di resistenze al ricongiungimento.
Come riportato da Courrière, il senatore Alfred Borriglione invocò le “tradizioni liberali” nizzarde: «Il regno della libertà essendo tornato con la Repubblica, questa ha ritrovato il popolo Nizzardo sempre fedele.» Il passato savoiardo? Un semplice dovere di memoria verso dei “principi onorati”, rapidamente sommerso dall’“amore per la Francia”.
Eppure, il monumento stesso si screpola sotto i non detti. La dedica – “La Città di Nizza alla Francia” – suona come un giuramento forzato. Di fronte a Garibaldi, eroe delle libertà transnazionali, questo blocco di pietra incarna il trionfo del romanzo nazionale giacobino. La presenza di Faure, raro presidente a spostarsi in provincia, rivela la posta in gioco: si tratta meno di celebrare il 1792 che di seppellire i dubbi sulla legittimità del 1860.
Quando Rouvier lancia “Viva Nizza la ben francese!”, il mare rimbomba in contrappunto. Alcuni sussurrano ancora che votare “liberamente” sotto occupazione militare sia una farsa tragica. Ma il marmo ha parlato: Nizza è francese “dalle sue origini”, e i suoi morti controversi non avranno sepoltura nella Storia ufficiale.
I monumenti commemorativi pubblici? Una fabbrica in serie d’identità locali. A ogni statua piantata, il passato delle città si sfilaccia. A Nizza, l’eredità italiana finisce nel dimenticatoio. Si trabocca di pietre e bronzo, si glorifica, si riscrive.
Il monumento del Centenario, lui, aspetta fino al 23 luglio 2009 per entrare nel patrimonio storico. Un riconoscimento tardivo, quasi ironico: si protegge finalmente il simbolo di una memoria ufficiale che, un secolo prima, aveva già sigillato il destino di un’altra memoria.
Fonti:
Henri Courrière, Les Alpes-Maritimes et la République
Il Pensiero di Nizza du 14 août 1892
Henri Courrière, L’identité politique de Nice. Mémoire et monuments publics de 1860 à 1914
Centenaire du rattachement de Nice à la France : un monument !

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