Quando Torino ed il Piemonte voltano le spalle alla storia

La statue d’Emmanuel-Philibert de Savoie, surnommé « Tête de fer », trône sur la Piazza San Carlo à Turin
La statue d’Emmanuel-Philibert de Savoie, surnommé « Tête de fer », trône sur la Piazza San Carlo à Turin

Torino: una città che volta le spalle al suo passato?

È una città che, da qualche anno, sembra rinnegare la sua storia. Torino, capitale degli Stati di Savoia dal 1563 al 1713, del Regno di Sicilia dal 1713 al 1720, del Regno di Sardegna dal 1720 al 1861 e del Regno d’Italia dal 1861 al 1865, oggi abbandona il suo fastoso passato per proiettarsi verso un futuro 2.0. Turismo, imprenditoria, industria e università sono i nuovi motori di questa metropoli piemontese, che rimane però nell’ombra di Milano, la capitale economica italiana. Ma questa svolta verso la modernità avviene a discapito della sua identità?

In un articolo tagliente pubblicato il 12 marzo 2025 su Il Fatto Quotidiano, Donatella d’Angelo, architetto e pubblicista, si scaglia contro quella che potrebbe essere definita l’amnesia storica di Torino. Una critica costruttiva che mancava da tempo, visto che le istituzioni torinesi e piemontesi sembrano dormire sul loro patrimonio. E il bilancio è impietoso: da decenni, politici e attori culturali locali relegano in secondo piano il ruolo chiave del Piemonte nella storia italiana. Eppure, è proprio da Torino che è nata l’Italia. Sì, Torino, questa città che oggi sembra voltare le spalle al suo glorioso passato, dove il Piemonte ha giocato il ruolo di padre fondatore della nazione. In queste circostanze, le istituzioni preferirebbero ballare sulle tombe dei Savoia, mentre si riempiono le tasche delle ricchezze patrimoniali e culturali lasciate da questa dinastia, che ha plasmato la città e la regione fino al 1946, anno di nascita della Repubblica Italiana.

Un patrimonio reale maltrattato

Donatella d’Angelo punta il dito contro la gestione dei tesori sabaudi, a cominciare dalla nuova presentazione della collezione “Leonardo” a Palazzo Reale. “È stato annunciato con grande clamore il nuovo allestimento della collezione ‘Leonardo’, con l’iconico Autoritratto a sanguigna, conosciuto in tutto il mondo”, riferisce. Ma deplora che questa esposizione si riduca a “una saletta al secondo piano”, in un’area nobile del palazzo, certo, ma ben al di sotto di quanto meriterebbe un tale gioiello. Celebra comunque il Palazzo Reale, “il più bello d’Italia e autenticamente sabaudo”, distinto dai palazzi di Milano o Roma, segnati da altre dinastie. Tuttavia, anche questo gioiello sembra sottoutilizzato da istituzioni che definisce “pigre”.

L’architetto menziona anche i ritratti dei re sabaudi esposti in una sala vicina, come quello di Carlo Alberto, artefice dello Statuto Albertino – la prima costituzione italiana – e acquirente dell’autoritratto di Leonardo. “È grazie ai Savoia che questi tesori sono qui”, insiste, deplorando che il loro patrimonio sia ridotto a un’attrazione turistica senza un vero riconoscimento storico.

Un’identità economica e culturale da salvaguardare

Oltre ai musei, Donatella d’Angelo attacca la perdita di influenza di Torino. “La città ha definitivamente perso il suo status di capitale industriale, il terziario ristagna”, scrive su Il Fatto Quotidiano. Se il turismo salva il salvabile – con visitatori da tutto il mondo attratti dalle residenze sabaude tra Torino, il Piemonte e la Valle d’Aosta –, lei vi vede uno sfruttamento opportunistico più che una valorizzazione sincera. “Tutto questo poggia su oltre 400 anni di regno dei Savoia, che hanno trasformato un villaggio in una capitale, nonostante i ripetuti assalti dei francesi”, ricorda, citando la vittoria di Vittorio Amedeo II nel 1706, immortalata dalla basilica di Superga.

Si appoggia anche ai numeri: Mario Turetta, direttore dei Musei Reali, ha recentemente vantato i 700.000 visitatori accolti l’anno precedente, un record “impensabile qualche decennio fa”. Ma per d’Angelo, questo successo è un’eredità diretta dei Savoia, che le istituzioni locali si rifiutano di onorare come meriterebbero. “Un minimo di gratitudine sarebbe dovuto”, afferma, sottolineando che luoghi come il Museo Egizio – fondato nel 1824 da Carlo Felice e oggi secondo al mondo dopo il Cairo – devono tutto a questa dinastia.

Vittorio Emanuele IV: un esempio rivelatore

Le tensioni tra questo glorioso passato e l’atteggiamento delle istituzioni trovano un’illustrazione in un evento recente: i funerali di Vittorio Emanuele IV, figlio dell’ultimo re d’Italia, nel febbraio 2024. La cerimonia, organizzata nel Duomo di Torino, ha riunito reali come il granduca Henri del Lussemburgo, il principe Alberto II di Monaco, la regina emerita Sofia di Spagna, i principi Astrid e Lorenz del Belgio, oltre a membri delle famiglie reali dei Borbone, degli Asburgo, dei Savoia e di altre dinastie europee, ma né il sindaco Stefano Lo Russo né il presidente della regione Piemonte Alberto Cirio hanno degnato di partecipare. Un’assenza notata, interpretata come un simbolo del disinteresse delle autorità locali per l’eredità sabauda. D’Angelo non menziona direttamente questo episodio nel suo articolo, ma risuona con le sue critiche: le istituzioni approfittano dei fasti dei Savoia – come le residenze, classificate dall’UNESCO – senza concedere loro il rispetto che meritano.

Un futuro da riconciliare con il passato

Torino si trova oggi di fronte a un dilemma: conciliare modernità e storia, senza sacrificare l’una per l’altra. Senza il suo prestigioso patrimonio, la città rischierebbe di diventare una semplice cittadina anonima ai piedi delle Alpi. Le tracce dei Savoia, visibili nei suoi palazzi, nei suoi musei e persino nei nomi delle sue strade, sono inseparabili dalla sua identità.

Restituire a Torino la sua dignità di capitale storica non significa sognare una monarchia scomparsa, ma riconoscere e celebrare un’identità plasmata da secoli di storia. Perché una città che dimentica le sue radici rischia di perdere il senso della sua traiettoria, a favore di una visione impoverita, ridotta al turismo di massa o ai selfie effimeri.